giovedì 24 dicembre 2015

25 dicembre 2015

Le settimane precedenti, a partire da Sant'Ambrogio, erano dedicate alla preparazione.
L'albero, che nella nostra piccola casa di Via Maratta, poco più di trenta metri quadrati, riceveva sempre il suo posto d'onore. Era un parente, un caro amico che tornava puntuale, e che noi adornavamo con caramelle e cioccolatini, avvolti e poi appesi uno ad uno col filo da cucire. Alla Befana già non ne restava uno, e anche questo era un rito.  
L'attesa... Le mattine, prima della scuola, andavamo ancora al buio alla Novena. L'aria era gelida, ma i canti e la luce delle candele  in chiesa scaldavano e mi facevano tornare. E poi la ricerca dei doni nascosti per la casa, quando eravamo soli... Improvvisamente infiniti gli spazi che si aprivano: armadi, ante, cassetti ripiani e chissà se Babbo Natale esisteva o se, chissà, la mamma, sospettavamo, ci avrebbe pensato, con i risparmi e forse un po' anche di nascosto da papà, a comprarli per noi... 
La notte della Vigilia Rodrigo ed io vegliavamo, Eros era ancora piccolo, emozionati e curiosi come non mai nell'attesa dell'arrivo. "Quest'anno scopriremo chi ci porta i regali!". C'era pure Gesù Bambino, a complicare le cose. Ogni volta, nonostante tutto, cedevamo al sonno, e al mattino, ai piedi del nostro letto, non importava più come, chi: la magia era compiuta. C'era, sempre, puntuale, qualcosa per noi!
Poi il pranzo. Tu, papà che dicevi sempre "I giorni sono tutti uguali per me!"... Ti saresti ricreduto molti anni dopo, e ringrazio Dio che mi ha concesso ti vederti diventare nonno e tornare bambino, quando, com'ero felice, non potevi più nascondere l'emozione di scartare con noi i doni che tu stesso, la Vita come ci cambia, avevi infine scelto con la mamma! 
L'ultimo Natale, tre anni fa, siamo stati separati. Su quell'aereo, in partenza per Praga, mentre le hostess si lanciavano nei soliti balletti sulla sicurezza, ricordo con quale terribile bisogno ho riacceso il cellulare per chiamarvi e lasciare (almeno) un messaggio in segreteria : "Buon Natale, vorrei essere lì con voi", mentre i motori rullavano e le ruote iniziavano a percorrere la pista prendendo velocità.

Ora, è buio, il silenzio avvolge tutto. 
Dalla sala mi arrivano le luci dell'albero, l'amico che è sempre poi tornato.
Tra qualche ora saremo avvolti dal profumo acre dell'agnello, che la mamma trova sempre un buon motivo per preparare, dal vociare disordinato e scomposto di questa nostra famiglia così piena di Vita. La mamma farà avanti e indietro dalla cucina, e le diremo come sempre "dai, stai a tavola con noi!". 
Ogni cosa scorrerà. La gioia. Il dolore.
Chissà. Non posso sapere.

E allora mi alzo e vado piano, ma con la stessa curiosità, ai piedi del letto.
Chissà cosa ci sarà.

...l'amore è dappertutto.
Buon Natale a tutti noi, ovunque sia il
nostro cuore.

L'amore è dappertutto!

https://www.youtube.com/watch?v=qS2ifGboO-Y

sabato 3 ottobre 2015

Di ritorno con gli alchechengi

Una camminata da sabato pomeriggio come piace a me.
Mi sgranchisco di dosso la mollezza di un giorno intero trascorso sul divano, starnutendo e lamentandomi continuamente di nausea e di tutto il lamentabile.

Via, si va. Oggi rinasco.


Tutta via Padova a piedi. Passo lento ma si fa. 

Poi il mercato di Benedetto Marcello.
Roberto compara le bancarelle per i prezzi… gli dico "Non perdere tempo". Alla fine scelgo sempre in base ad estetica e simpatia per il venditore. 
Eccoci, la bancarella più bella, più curata. Il ragazzotto ci mostra orgoglioso i porcini. Sono di una bellezza da togliere il fiato. Ci penso un attimo poi confesso ciò che mezza Milano già sa: "Sono incinta: non so se vanno bene per noi...". Non insiste: "Ah, allora meglio di no".


Conquistata.


Facciamo scorta. 

Durerà poco, già so.

Usciti dal mercato, Roberto porta due sporte di frutta. 

Io un grazie-a-dio inutile ombrello e un generoso mazzo di alchechengi freschi. Voglio adornare la casa di autunno, e queste lanterne arancioni piene di magia mi paiono perfette.

Si torna.

Stazione Centrale, banchina della metro. Vorrei solo sedermi, ora. 
Basterebbe che il ragazzo che gioca a poker sul suo smartphone si facesse un po' in là, ce ne sarebbe di spazio. Forse troppo concentrato, non intende. La ragazza al suo fianco, occhi neri luminosi, credo possa venire dal Senegal, si sposta, si mette sul ciglio della panchina di marmo, stiamo strette. 
Io la guardo, le dico "era lui che doveva spostarsi… grazie".

E' un attimo.

Io sento che ci siamo messe in contatto.
Ma forse sto un po' fantasticando e magari è pure un po' scocciata, chissà.

Arriva il treno, carico. La fiumana è tale che Roberto ed io ci separiamo … lo raggiungo piano piano lì dove ha preso posto in piedi, mi tiene la mano, "meno male che ci sei", penso.


Poi una voce ed uno sguardo: "Siediti, dai!"

La ragazza dagli occhi neri e luminosi!

La guardo e mi viene da dirle, in un attimo di intimità "allora avevi capito, perché avevo bisogno di sedermi!". 

"Sì", e mi sorride.

In quel momento ci siamo solo io e lei, ed è come se ci conoscessimo da sempre.


Mi emoziono e Roberto lo sente. Mi guarda e c'è amore.

Al momento di scendere vorrei ringraziarla ancora, ma la vedo presa. E' al telefono, parla concitata e molto concentrata.

"Grazie ragazza gentile, grazie sorella" mi dico tra me.


"Aspetta un attimo!"interrompe la chiamata, toglie gli auricolari e mi chiama.

"Ehi, tanti auguri a voi!"

Mi sento la vita fluire in tutto il corpo, sono certa che il cuore che ho nella pancia si è sentito scaldato.

"Sami, sei diventata rossa".

Sì. 

Sono felice.










venerdì 18 settembre 2015

Il cuore nella pancia



Un giorno ti racconteremo di come ti cercammo, preparando i nostri cuori e le nostre vite ad incontrarti.

Ti racconteremo di come sorprendesti ogni razionalità, dimostrando che la Vita sa andare oltre e stupirci ogni giorno con la sua rinascita.

Ora che la mia volontà è guidata dal naso, che il mio pensiero è nello stomaco e che ho il tuo cuore che batte nella mia pancia... Non riesco più a trattenere la mia felicità e la mia voglia di dire a tutti che ci sei.

Non vedo l'ora di conoscerti!


martedì 8 settembre 2015

I Lisianthus.

... e così oggi, dopo diversi giorni di mal di testa che l'unica cosa che mi da tregua è il dormire, oggi, finalmente, mi si snebbia il pensiero, si apre lo sguardo: la tregua o la fine? Non importa, me la godo!

E così al lavoro mi lascio andare a parole sciocche, a battute che qualcuno sorride per solidarietà; lotto con un caro collega, e vinco: voglio offrirgli un pranzo, di cuore; passo a trovare una persona dagli occhi buoni solo per chiederle come sta, poi m'incammino verso casa. Voglio respirare e rapire tutta la bellezza che il malessere mi aveva impedito. 
Torno a casa con un mazzo enorme di fiori rosa e bianchi.

"Li prendo tutti!"

E mi dedico a riempire di dolcezza e sogni ogni angolo della casa.

sabato 1 agosto 2015

Catania, 2 novembre 2014.

È stato un giorno strano, salire sull'Etna, le zolle nere, andare in alto e non vedere per le nuvole di fuliggine, sapere di avere i piedi su qualcosa di caldo e sentire freddo, il freddo delle alte quote di montagna ma senza il premio della vetta conquistata. 

Sulle curve in discesa panorami lunari, la natura che vuole vivere sulle ceneri, fumi di piccoli crateri sparsi. Il bisogno di chiudere gliocchi, come un rapimento. Tra le pieghe di un sonno leggero d'improvviso una zampata, il dolore.

Le immagini...ero lì, la chiesa, noi quattro coi jeans, come te. Ancora un saluto, ancora uno, ancora un ricordo di te, ancora una parola da dirti... Ancora un milione di parole, una vita da dirti.

Credo che l'Etna sia in quel momento esploso in colate lente ed inesorabili e lapilli pazzi sul mio viso. Dal profondo il mio magma ha trovato, a volte accade, e spesso d'improvviso, strada, bruciando tutto intorno.

Dicono che le terre colpite dai fiumi di fuoco diventino poi più fertili. Solo ci vuole tempo, tanto tempo.

Chissà. Non so. E ora non mi interessa. So solo che non ci sei e che questo mi fa male ancora e sempre.


sabato 18 luglio 2015

Renzo, il barbiere dell'ospedale

    Oggi siamo andati a trovare zio Gianfranco, il fratello della mamma. 
Gli ospedali sono dei microcosmi, dove la vita continua con ritmi suoi e dove gli abitanti si organizzano secondo consuetudini proprie.

E allora può succedere di incontrare il signor Renzo, il barbiere che si occupa di rinfrescare gli ospiti, anche quelli che magari sono mesi che non si guardano allo specchio.


Il signor Renzo porta nel trolley tutto l'armamentario del
Buon Barbiere, ci racconta barzellette sconce in milanese e ci dichiara orgoglioso di essere uno studioso della Bibbia. "Io ai testimoni di Geova tengo testa".
Mi fa anche qualche complimento ("hai piedi spirituali") e, sapete quanto sono vanitosa, mi emoziono un pochetto.

Di Roberto dice che si vede che è una brava persona e che il suo nome porta la radice del legno di rovere e della berta... Non lo seguo molto, ma andremmo avanti così per ore.

Lo zio osserva dal letto e, giuro l'ho visto, gli scappano un paio di risate sdentate che mi aprono il cuore.

Il signor Renzo ci dice che lo zio è molto magro e che converrà aspettare almeno una settimana prima di fare la prossima rasatura. Poi gli passa la colonia, "sentite che buon profumo!" E la passa anche sui capelli da pulcino, per rinfrescarlo.

Poi, prima di andare via, mi chiede se lavoro per una casa editrice, perché sta ultimando un suo libro e gli piacerebbe pubblicarlo.



martedì 7 luglio 2015

Partire leggera…tornare alleggerita

Perché in campeggio c'è sempre qualcuno che ti presterà l'accendino che ovviamente ti sei scordato nonostante l'elenco minuzioso.

Perché in campeggio c'è sempre qualcuno a cui potrai offrire il tuo compressore da 10€ del Decathlon di cui vai così orgoglioso (e sentirti un supereroe).

Perché occuparsi dell'essenziale (dov'è il bagno - dove si sposterà l'ombra al sorgere del sole - copri bene i biscotti prima che le formiche ci vadano... ) è per me il miglior scacciapensieri al mondo.


Perché attraversare la pineta dopo la doccia calda è una delle sensazioni che più mi riconcilia con la Vita.

Perché addormentarsi al gracidare delle rane e il ritmato tù-tù dell'assiolo per poi svegliarsi al frinire insistente delle cicale innamorate mi emoziona ogni volta.

Perché sulla grande navicella spaziale dei campeggi tutti ci si conosce e non c'è niente di più naturale di un cenno di saluto alle 7 tra te col rotolo di cartigienica che corri per non farti la pipì addosso (per quello si dice che scappa) e il pensionato che da una vita torna lì e legge pacifico il suo giornale con una tazza profumosa e fumante di caffè della moka.

Perché in campeggio ciascuno interpreta la propria personale idea di Casa e perchè mi diverte così tanto ammirarne le diverse versioni umane: dall'organizzazione degli spazi che nemmeno alla Nasa, alla poetica veranda decorata nel minimo dettaglio con gerani, petunie e tanto di cartelli di benvenuto.

Perché sono un'inguaribile ottimista e faccio finta di dimenticare che la prima notte abbiamo non-dormito sul materassino sgonfiato.

Perché siamo tornati a Milano da mezz'ora e già sto rosolando come sul girarrosto.


Perché mi piace partire leggera e tornare alleggerita.

Per questo e mille altri motivi amo le vacanze in campeggio.